Hector Luis Belial,
Las Vegas edizioni
Se io mi definisco una tessitrice di storie, Hector Belial è un assassino di storie, un killer da film splatter che crea la sua prosa con una sega elettrica, con tavoli bianchi da chirurgo e magari con una mannaia.
Con uno stile che farebbe invidia a molti scrittori, o pseudotali famosi, Belial spezza frasi e situazioni, poi li ricuce, tra le sue mani diventano carne viva e con la stessa impressione li sente il lettore.
Il romanzo si presenta come un thriller dall’aria pulp, sia la copertina che il quarto di copertina evocano immagini, colori e odori di Harlem o Queens, o almeno di una Harlem o di una Queens percepita dagli europei attraverso film e letture. Basta leggere, però, le prime pagine per vedere quelle immagini farsi più sfumate, sciogliersi nei deliri di autore e personaggi, regalando una visione distorta e originale di una storia che altrimenti sarebbe piuttosto usuale. Il filo conduttore è Saxophone Street, dove si muovono le ombre dei personaggi e che, più che teatro di storie, diventa essa stessa personaggio dotato di volontà propria, assumendo un ruolo principale.
Belial è vittima e carnefice del lettore, al quale pare non riesca a rinunciare, ma che trascina a fondo, nelle proprie frustrazioni, nel proprio mondo violento e onirico, mondo che diventa tattile in un gioco di immagini originali, citazioni e suggestioni.
Se continuassi a parlarne però, probabilmente direi troppo, toglierei il gusto al lettore, quindi mi limiterò a fare i complimenti a Hector Belial e a dargli il benvenuto nella società dei poeti morti.
venerdì 27 marzo 2009
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Benvenuto Hector! Dacce dentro!
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