Border ha risposto al mio primo esercizio di stile e mi ha mandato questo racconto:
UN’ALTRA TAZZINA DI CAFFE’
E come ogni venerdì torno a impelagarmi nella serie di mezzi pubblici che separano casa mia dal call-center. Sono impaziente che venga sera perché finalmente possa godermi il week end in pace. La mia ragazza è fuori città da due giorni per lavoro, e ci starà fino a domenica sera. Ne sono dispiaciuto a metà, perché in fondo mi risparmia lo stress di scervellarmi alla ricerca di un qualche posto dove andare a mangiare, passeggiare, stare insieme… le solite cose da fidanzati, insomma. Mi godrò un fine settimana da single, col solo rimpianto di non poter dormire con lei la notte. Forse davvero mi sono innamorato, se ho smesso di pensare così tanto a quel che succede prima di dormire, e se non penso altro che allo svegliarci vicini e allo stringersi dolcemente per darsi il buongiorno. Chissà…
Entro nel Quick Bar, la caffetteria che è subito fuori la stazione, e vista l’insolita popolazione dell’ambiente guardo l’ora. Quindici minuti di ritardo, dannato treno. Ecco perché c’è più gente del solito. Non me ne dispiaccio poi così tanto, scendo sempre dall’autobus qualche fermata prima della mia destinazione, per farmi un tratto di strada a piedi. Stare seduto ore in un call-center fa diventare terribilmente sedentari e comincia a vedersi un po’ di pancia. Stamani mi sa che dovrò rinunciare e farmi tutte le fermate in autobus.
Posso rinunciare a tutto fuorché al mio caffè, altrimenti è dura reggere fino alle nove di sera.
Mi infilo nella calca del piccolo bar – se ce tanta clientela, significa di certo che non sono solo io ad apprezzare questa caffetteria – e mi incodo nella fila che procede a passo di processione verso la cassa. Pago i miei ottanta centesimi e ritiro lo scontrino avviandomi verso il muro umano che mi separa da Occhio-di-falco.
Occhio-di-falco, che in realtà si chiama Vincenzo, detto Cenzino, è l’unico barman della caffetteria. E’ strabico, ma di uno strabismo che dire singolare è poco. Le pupille sono perfettamente allineate, cambiano solo angolazione: quando la destra guarda dritto, la sinistra guarda a sinistra, quando la sinistra guarda dritto, la destra guarda a destra. Ma dico, sembrano fatte apposta!!! Una volta son dovuto uscire di fretta per non ridergli in faccia: lo stavo immaginando ad un incontro di tennis!
Arrivo finalmente al bancone in marmo e poso lo scontrino con una moneta da dieci centesimi di mancia a fare da fermo. C’è chiasso, c’è chi mette fretta, fatto sta che all’improvviso un tamarro si affaccia sul bancone, spalla a spalla con me, e succede il putiferio: “Uè, barman, i tuoi occhi hanno litigato?”
Nello smadonnìo che segue, Cenzino Occhio-di-falco da il meglio di sé, sfoggiando un vocabolario di bestemmie che vanno da quelle del periodo di Masaniello a quelle un po’ più postmoderne, ma intanto il tamarro ha avuto quello che voleva: ha attirato la sua attenzione ed è stato servito subito. In questo modo Occhio-di-falco se lo toglie dalla “vista”.
Io, girato di lato per il disagio, non assisto alla scena, ma così mi perdo il gesto meccanico che fa Occhio-di-falco nel prendere scontrini e mance, servire il caffè solo al tamarro e allontanarsi verso il polo opposto del bancone.
Vorrei protestare ma è inutile, la macchina del caffè fischia e rumorosamente in una brocca piena di latte: Cenzino sta per servire un cappuccino a una signora truccata all’inverosimile. Capisco che è lei la destinataria del cappuccino dal fatto che tiene lo scontrino tra indice e medio. Chi passa per il Quick Bar conosce questo muto linguaggio: scontrino sul bancone uguale caffè; scontrino tra le dita uguale varie ed eventuali. Ma tanto in quel bar ci si viene solo per il caffè. Il cappuccino di quella signora resterà un episodio isolato.
Mi rassegno ad aver perso ottanta centesimi ( più dieci di mancia ) e mi incodo di nuovo. La fila ha scalato marcia, si procede a passo di formica.
Arrivo alla cassa, pago e mi avvio al bancone. Davanti a me ci sono due omaccioni molto alti, forse fratelli, perché molto rassomiglianti, che parlano tra di loro di calcio. Proprio quando siamo nei pressi del bancone mi squilla il cellulare. E’ mia madre.
“Pronto ma’ ?”
“Tonì, che guaio!!!”
“Che è stato?”
“Uno stronzo tutto ubriaco, qua giù al cortile…”
“Embè…?”
In quel mentre i due omaccioni arrivano al bancone. Parlano in modo molto concitato, quindi mi tengo distante per sentire meglio mia madre al cellulare, e intanto spingo il braccio tra loro e poggio scontrino e altri dieci centesimi sul bancone.
“Ha tamponato la macchina!”
Per un attimo cado nell’abisso pensando alla mia auto – che ha l’unico pregio di avere quattro ruote ed un motore che funzionano ancora bene insieme – resa ancora più malandata da un disgraziato incidente, per giunta da parcheggiata!!! Poi il panico: “La mia?” mi accerto.
“La tua.”
“Ma era parcheggiata!”
“Lui era ubriaco…”
“Ha tamponato avanti o dietro?”
“Di lato.”
“Ehhh?!?!?” comincio a pregare perché sia uno scherzo. Ma conosco mia madre, non riuscirebbe a farmene uno del genere, non è una brava attrice.
“Ha sfondato la portiera del lato guida. È tutta dentro l’abitacolo ora…”
Sono una cosa sola con il panico, ora. Tuttavia provo a pensare positivo. Può essere un buon momento per cambiare macchina.
“Gli avete preso i dati dell’assicurazione?”
“Quest’è il guaio, Tonino. Non era assicurato…”
La rabbia comincia a montare, tuttavia riesco a controllarmi.
“Vabbè mamma… Mo ci mettiamo in mano a un avvocato. L’hai presa la targa?”
“…”
“Ma’…?”
“La targa, Tonì?”
Intuisco le cose come sono andate. Mi aggrappo alla speranza: “Prendigli la targa, ma’!”
“Ma… se n’è già andato…”
Avvilito e nervoso, chiudo la conversazione senza neanche salutare. Tiro un respiro forzato ed espiro, pensando al caffè. Ma girandomi al bancone vedo che non ci sono più i due omaccioni e neanche c’è una di caffè fumante ad aspettarmi.
Facile capire come siano andate le cose: Occhio-di-falco ha visto due scontrini e, senza leggere, ha dato per scontato che fossero entrambi per un solo caffè, mentre invece lo scontrino dei due omaccioni era per due… Vorrei avere uno specchio per sputarmi in faccia.
Ma ormai è questione di principio: rifaccio la fila per la terza volta, fila che ora procede a passo di formica sciancata. Arrivato alla cassa, dato che ho finito le monete, tiro fuori una banconota da venti euro, l’ultima che mi è rimasta. Questi cornuti del call-center si fanno aspettare prima di scucire i soldi a fine mese, e tu neanche hai il diritto di protestare, dato che il contratto ti scade a breve. A meno che tu sia intenzionato a non rinnovarlo.
“Spiacente, non ho il resto.”
“Che???”
“E’ inizio giornata…”
E’ l’inizio di una giornata di merda che si è presentata con tutti i sentimenti al posto giusto, vorrei rispondere.
“E poi ho appena cambiato un cento euro…”
Afferro esasperato un pacco di biscotti che sta su un ripiano – biscotti scaduti probabilmente da quando mia nonna aveva le treccine, dato che sono anni che li vedo sempre lì. Sono stupidamente e ostinatamente deciso: voglio il mio caffè!
Con i biscotti il cassiere riesce a darmi dieci euro e trenta di resto, raccattando un cinque euro di carta e cinque euro e trenta in monete miste: due pezzi da un euro, quattro da cinquanta centesimi, sei pezzi da venti e uno da dieci. Mi ficco tutto il danaro in una tasca. Sembra che sono andato a scassinare una cassetta delle offerte in chiesa.
Mi avvio verso il bancone con il pacco di biscotti sotto l’ascella, sperando che stavolta Cenzino non mi faccia un’altra sola. Stavolta tengo lo scontrino tra le dita, per essere sicuro che mi serva. Così è, e mentre avvia la macchina per il caffè mi piazza sottotazza, cucchiaino e bustina di zucchero sul bancone, proprio davanti a me. Tiro un sospiro di sollievo.
Poi, di nuovo il cellulare. E’ Maria, la mia fidanzata.
“Ciao amore!” rispondo con un tono solare. Quando sono a telefono con lei non posso non esserlo, anche quando le cose vanno male. Non so com’è, mi vien fuori il sorriso come il sole che sorge all’alba: in modo del tutto automatico e naturale.
“Ciao…” dall’altra parte non c’è solarità… pare più che altro foschiità.
“Ehi, cos’è quel tono? Guai a lavoro?”
“Ma che lavoro, Tonì…”
“…”
“…”
I silenzi dicono molto. Ora la foschiità contagia anche la mia voce: “Che intendi?”
Alle mie spalle sento che Cenzino posa la tazzina sul piatto, ma lo avverto distrattamente.
“Antonio… – sudo freddo, quando mi chiama col mio nome di battesimo è perché le cose non vanno affatto – … io sono con un altro...”
La mia voce si permea di nebbiità: “Come?”
“Non ti eri reso conto che ero diversa, negli ultimi tempi, con te?”
Negli ultimi tempi? E che era successo mai?! Non si era fatto più l’amore così spesso, ma io mi sentivo un dio solo a tenerle una mano!!! Pensavo fosse perché ci eravamo resi conto che non eravamo solo fisicità, l’uno per l’altra. Che diamine era successo negli ultimi tempi?
“Ma…” la mia voce arriva da lontano, dal buio recondito. Voce di buità.
“Ti lascio, Antonio. Sei una cara persona e non ti meritavi che te lo dicessi al telefono, ma non potevo più tenermi tutto questo dentro… Addio…”
Tut-tuuuuut… Tut-tuuuuut…
Riemergo dal buio e metto a fuoco il bar attorno a me. Con dei movimenti automatici la mia mano ha rimesso il blocco tasti e ha infilato il cellulare nella tasca dei pantaloni. Il pacco di biscotti scivola dalla mia ascella e cade a terra, finendo schiacciata dagli avventori.
Mi giro verso il bancone e trovo solo un sottopiatto e una bustina di zucchero aperta. Spunta un braccio alla mia sinistra che posa una tazzina di cui restano solo i fondi, del caffè, assieme a granuli di zucchero semisciolti e al cucchiaino. La mano si ritira, e io la seguo con lo sguardo. Appartiene a un tizio sporco, malvestito, barba di dieci o quindici giorni e capelli lerci che mi guarda con aria di chi me l’ha fatta, mi fa un cenno di saluto dicendo: “Grazie del caffè, dottò!” e se ne esce soddisfatto dal bar.
Comincio a contare.
…uno…due…tre…
Non posso farlo, non qui…
…quattro…cinque…
Voglio urlare, ma non devo…
…sei…sette…
Non devo, ma…
..otto…
…ma è più forte di me. Non posso ma…
…nove…
…DEVO urlare!!!
Con quanto fiato ho in corpo e con tutta la forza che mi rimane nei nervi sparo dal profondo di tutto me stesso quell’unica vocale rabbiosa che mi da sfogo, arrivando a piegarmi sullo stomaco per lo sforzo. Ed esce forte, maiuscola, disperata ed esasperata, frustrata da una giornata che è soltanto agli albori.
Finisco singhiozzando. Mi guardo intorno. Il bar è paralizzato, una polaroid di stupore, incredulità e meraviglia. Neanche una mosca a turbarne il silenzio di cimitero. Cenzino Occhio-di-falco, dietro al bancone, con due tazzine in mano sospese a mezz’aria, mi fissa a bocca aperta. Ora ha tutti e due gli occhi dritti in avanti.
Mi raddrizzo e mi avvio di nuovo alla cassa percependo distrattamente una lacrima che mi scivola giù per il naso.
Stavolta salto la fila. Quelli che sono avanti a me si scansano vedendomi arrivare. Riesco a pescare una moneta da un euro dalla tasca al primo colpo. Forse un segno che il peggio è passato e che ora non può andarmi che bene.
“Un’altra tazzina di caffè…” dico, posando la moneta sul piatto per il resto.
“No.”
La risposta mi arriva, cortese ma ferma, dal cassiere.
“…”
Vorrei poter avere la forza per chiedere anche solo ‘perché’, riuscire a pronunciare quelle sei lettere, ma le mie labbra non riescono ad articolarsi, e la voce si rifiuta di uscire.
Intuendo il mio pensiero, il cassiere mi dice: “E’ già alla sua quarta tazzina. Troppo caffè la rende nervoso…”
giovedì 16 aprile 2009
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AhAhAh.... La miglior cura in una vita isterica, negativa, frenetica... L'ironia! Qui presente, dall'inizio alla fine, un tentativo quasi inconscio del personanggio, di sdrammatizzare una giornata al limite del peggio! Per i miei guisti apprezzo la scelta del dialogo e dell'utilizzo della prima persona.(non amo molto le minuziose e infinite descrizioni in terza persona,che rallentano e appesantiscono, oltre ke limitare l'immaginazione). Certo lo stile è spontaneo, non certo ricercato e come tutti i racconti, scritti in blog, ke si rispettino, ha i suoi errori e fa impazzire lo sguardo rendendoci tutti "Occhio-di-falco" per il contrasto bianco acceso su nero(ma questo non dipende certo da te... almeno credo). Carino, scorrevole,in cui ci si può senza dubbio immedesimare, anzi per certi versi può farti sentire meglio ( c'è ki sta peggio di me direi).Di una tenerezza spaventosa lui, innamorato e di un'agitazione implosiva lui all'inizio per poi scegliere di esplodere(e questo è da invidia... quante volte vorremmo spaccare qualcosa o gridare cn tutta la voce ke abbiamo in corpo?!... però direi praticamente mai lo facciamo). La tensione sale e si percepisce anke se non particolarmente. Nel complesso secondo me è carino, non è proprio il mio genere ma, come si nota anke dal commento, io preferisco lunghi racconti ke permettono + spazio a dialoghi e colpi di scena, cambi di registro, nei loro giusti e dilungati tempi e non concentrati, in poke righe(Nonostante io non ami molto leggere e adori le poke righe).
RispondiEliminaCmq Bravo! carino! attuale(Magari anke un pò autobiografico di la verità :-P ), cn i presupposti di una bella storia... Non il mio gusto... ma il finale è grandioso! (anke perchè immagino la faccia di Toni in quel momento, stile Ally McBill, o come accidenti si scrive, che immagina di far fuori tutti in un colpo solo.
Ps scusate mi sn dilungata... ma è + forte di me quando vedo qualcosa nei blog mi sento tanto "critica" e mi atteggio come tale, ma da come scrivo e sbaglio è evidente ke non lo sono :P
By Ersien (Una pazza ke passava da ste parti)